“La natura selvaggia é una condizione geografica e anche uno stato d’animo” diceva Henry David Thoureau nel suo Walden – Vita nel bosco forse il libro più celebre che ha contribuito a creare quel mito romantico della Wilderness che intende lasciare che la natura faccia il suo corso senza che l’uomo vi metta mani in alcun modo.
E di natura selvaggia parliamo trattando dell’Area Wilderness della Val di Vesta, un’area che in alcune sue zone è addirittura più facilmente accessibile per via d’acqua che non via terra.
A tale isolamento contribuì in modo determinante la costruzione del bacino idroelettrico che ha portato alla nascita del lago di Valvestino.
Tutto ebbe inizio nel 1959, con l’approvazione del progetto esecutivo per la costruzione della diga di Ponte Cola. Già 3 anni dopo, il 26 giugno 1962, la diga venne inaugurata dopo aver visto l’incessante lavoro di circa 600 operai e la realizzazione di un’imponente arcata di cemento armato alta ben 124 metri.
L’invaso si riempì nell’inverno successivo sbarrando il corso del torrente Toscolano e sommergendo al contempo la bassa Valvestino. Si formarono curiosi fiordi e vennero interrotte le antiche mulattiere che risalivano la valle, fra cui quella che conduceva in Val di Vesta che venne in tal modo isolata quasi completamente.
Ed è attorno al fiordo che dalla diga si incunea verso ovest che si trova l’area wilderness – ad oggi unica località bresciana a fregiarsi di tale appellativo – che fu istituita nel 1998 su un’area di circa 1.525 ettari, dai 500 metri del lago ai 1.497 metri del monte Zingla, ricadenti nel Comune di Gargnano e all’interno sia della Foresta di Lombardia Gardesana Occidentale che del Parco Alto Garda Bresciano.
Molto abitata tutta la zona non lo era neppure in passato: basti pensare che questa parte dell’entroterra gardesano fu per secoli il rifugio di fuggiaschi e banditi, fra cui il più noto è ancora oggi Zanzanù, al secolo Giovanni Beatrice, ritenuto responsabile con la sua banda, tra il 1602 e il 1617, di circa 200 omicidi.
Ed in una zona tanto remota non potevano mancare misteri e leggende, risalenti ad un tempo in cui le suggestioni e la paura dell’ignoto prevalevano sulle possibili spiegazioni logiche. Come quella secondo cui un tempo esisteva qui un tempio dedicato alla dea Vesta, che avrebbe poi dato il nome all’intera Valle o come quelle relative alle numerose grotte della zona, in particolare al Cuel Sant, in cui si credeva dimorasse un vitello d’oro che pietrificava all’istante tutti coloro che avessero provato ad avventurarsi nella caverna. Nell’immaginario collettivo le colonne che si trovano tuttora all’interno della cavità altro non sarebbero che i resti di quegli incauti…
Nessuno abita in zona già dalla fine degli anni cinquanta, con il definitivo abbandono dei già piccoli nuclei di Cà dell’Era e di Rosane.
Da allora l’evoluzione naturale è stata lasciata al suo corso e oggi l’aspetto di spicco dell’area, favorito dall’isolamento, è quindi la ricchezza di endemismi. Tra l’altro gli escursionisti qui possono camminare solamente sui sentieri segnalati e i cartelli stessi, posti all’inizio dell’area protetta, ci suggeriscono di “Non visitare l’area Wilderness più del necessario o del reale desiderio di farlo”.
Se comunque intendete immergervi nella natura protetta della Val di Vesta, vi presentiamo qui una lunga escursione ad anello – sono circa 20 km per 1.400 m di dislivello – che permetterà di addentrarsi in tale area naturalistica, in un ambiente in cui è comunque basilare avere un certo senso dell’orientamento ed in cui i cellulari potrebbero non avere campo. Insomma, se volete vivere un’escursione d’altri tempi, questo è l’itinerario adatto…
Pantaloni lunghi, cartina, bussola e Gps sono consigliati.
Si parte da Molino di Bollone (533 m) – località posta sulla strada provinciale 9 che da Gargnano conduce a Valvestino e Magasa – che deve ovviamente il nome all’antico mulino in attività fino al 1912.
Qui parte il sentiero n. 471, che imbocchiamo passando fra due abitazioni in direzione del lago.
Meno di cento metri ed eccoci ad un bivio non segnalato: il sentiero principale procede dritto in direzione del torrente e del lago mentre a destra, la nostra direzione, si alza brevemente un sentiero che appena oltre scavalca un muretto in cemento. Imboccata tale traccia, che reca a tratti segnavia biancorossi, si prosegue costeggiando la tormentata costa, con taluni punti un poco esposti comunque protetti da una vecchia paratia metallica.
Lungo il percorso, se il livello dell’acqua lo consente, si potrà anche notare quanto resta dell’antica dogana – posta sul confine confine tra la Repubblica di Venezia prima e il Regno d’Italia poi e l’Impero d’Austro-Ungarico – che dorme sul fondo del lago da quando fu riempito l’invaso, ma che periodicamente riemerge quando il livello del bacino si abbassa.
Dopo una prima parte del cammino che seguendo l’orografia del lago è un continuo di curve e saliscendi, si arriva al cartello d’ingresso dell’area Wilderness, che riporta le norme di comportamento da rispettare durante l’escursione. Oltre si oltrepassa la Valle di Fassane giungendo poi ai resti della cascina Rosane (514 m) e, dopo un altro tratto che ci porta all’inizio del fiordo della Val di Vesta, alla località Ca’ dell’Era (501 m) che un tempo era un piccolo nucleo abitato in cui era anche presente una cappelletta, dedicata a S.Giovanni, ormai ridotta a rudere.
Risalita pazientemente parte della valle, più avanti si risale un ghiaione e arrivati al culmine dello stesso si tiene la destra continuando in moderata salita nel fitto bosco, tra faggi, carpini, roverelle e pini silvestri.
Procedendo su sentiero, scavalcando di tanto in tanto qualche albero caduto a terra, giungiamo poi ad un bivio segnalato – a sinistra si scende a Vesta di Fondo, a destra si sale a Vesta di Mezzo ancora con il sentiero 471 – dove proseguiamo verso destra trovando, poche decine di metri dopo, le frecce segnaletiche indicanti a destra la deviazione per il “Cuel”. Circa dieci minuti su tale sentiero e raggiungiamo infine la bancata rocciosa in cui si apre il Cuel Sant Grande.
Tutta la zona è contraddistinta da rocce sedimentarie – dolomie e calcari – fra cui si aprono molte caverne e, soprattutto, molti ripari sottoroccia. Il Cuel Sant Grande (385 Lo), posta a 800 metri di quota sulle pendici del monte Fassane, è composta da un’ampia cavità di circa 22 metri per 33. A caratterizzare la grotta, da cui forse ne deriva pure il nome, oltre a stalattiti e stalagmiti ci sono numerose vaschette simili a tante “acquasantiere”.
Curiosa, oltretutto, è anche la stessa storia esplorativa di questa grotta: conosciuta da tempo immemore per via della leggenda, quando nel 1935 i pionieri bresciani della speleologia Corrado Allegretti e Gian Maria Ghidini si avventurarono da queste parti furono guidati ad una piccola cavità, che identificarono appunto come il Cuel Sant, ma che date le ridotte dimensioni davvero lasciava perplessi in relazione alla sua notorietà. Fu solo nel 1972 che venne finalmente riscoperto il vero Cuel Sant (accatastato con il n.385 Lo), a cui venne aggiunto il termine “Grande” per distinguerlo dalla precedente è insignificante cavità.
L’altra cavità, il Cuel Sant identificato nel 1935 (172 Lo), si trova invece una cinquantina di metri più avanti e si raggiunge utilizzando una traccia di sentiero che troviamo poco più in basso del vero Cuel (in caso vogliate raggiungerlo ponete attenzione alle spine nella prima parte!).
Ritornati al bivio che ci indicava la deviazione continuiamo in salita – sempre sul sentiero 471 – in direzione della località Vesta di Mezzo. Un successivo bivio indica due possibilità per raggiungere tale località: seguiamo il ramo di sinistra, un po’ più lungo ma meglio evidente, fino a giungere ai ruderi della malga Vesta di Mezzo, dove ritroviamo una stradina, all’inizio per la verità piuttosto inerbata. La seguiamo fino alla malga Vesta di cima (1.284 m) in cui si nota l’attiguo laghetto che un tempo, nel periodo estivo, si colorava di rosso per la presenza di una rara alga. Qui basta alzare lo sguardo per notare, ormai non molto più in alto, la nostra meta successiva, l’edifico della vecchia dogana Veneta (1.354 m), oggi risistemato, e un cippo confinario, uno de molti che caratterizzano la zona, che vennero realizzati su ordine di Maria Teresa d’Austria nel 1753 per porre fine ad anni di lunghe e ripetute dispute sui limiti territoriali che correvano fra il Tirolo e la Lombardia veneta.
Ora proseguiamo a sinistra sulla sterrata per circa 400 m, per lasciarla poi all’altezza di una curva proseguendo a destra fino al vicino Passo di Vesta (1.355 m).
Ora non resta che seguire il sentiero 474, che si abbassa poi nel fitto bosco spesso senza segnalazioni proprie, pur restando abbastanza evidente.
Scesi nella selva, che un tempo fu il regno di boscaioli e carbonai, si cala rapidamente fino alle porte di Bollone, borgo dagli edifici rustici in buona parte recuperati, da cui non resta che seguire la linea d’asfalto per tornare infine al Molino e ai nostri mezzi.
Per informazioni sull’area wilderness è possibile contattare l’ERSAF – Ufficio di Gargnano, in Via Oliva 32, Tel. 0365 798 470 – gargnano@ersaf.lombardia.it
Si consiglia poi la lettura di “L’area wilderness: Val di Vesta nel Parco Alto Garda bresciano” di Ruggero Bontempi ed edito nel 2008, del volume “I boschi del lago: itinerari nella Foresta regionale gardesana occidentale”, a cura di Paolo Nastasio – Grafo, 2005, o di “Andar per Cuei: una guida ai ripari naturali fra le rocce nei monti del Parco Alto Garda bresciano”, Roberto Didi Lanzini – Grafo, 2007.
Infine segnalo il cortometraggio “Il suono del mio passo = The sound of my step” del regista Mario Piavoli, interamente girato nell’area wilderness nel 2016.
- Articolo apparso su Adamello, rivista del CAI di Brescia, n.130, edito a Dicembre 2021.